Augusto Paolicchi è stato emigrante. Non ha avuto una vita facile: ma la sofferenza, nelle sue poesie, è attenuata da un sincero pudore e diventa dolce tristezza, quindi malinconia. Un sentimento legato alla solitudine ( Nacqui /e subito ebbi / bisogno di tutti / e nessuno, / esclusa mia madre, / ne ebbe di me: / ); all'emarginazione propria di chi è dovuto andare per dura necessità in Paesi lontani e sconosciuti, e che a Paolicchi sono sembrati ostili: ( Non capisco le lingue, / le monete, / le barriere che si chiudono / sulla via del progresso; / le incomprensioni che portono / ai litigi dei popoli.... / ).
L'autore riesce a cogliere valori universali da esperienze individuali: per questo è poeta e le sue sono liriche autentiche, mai invettive.
Del resto, nonostante la lucida consapevolezza della realtà in Paolicchi la speranza è sempre presente e torna a riaccendersi ad ogni nuova aurora.
Un legame religioso unisce l'autore alla natura e viceversa, tanto che si può parlare, in queste poesie, di religiosità del Creato.
La natura è pura ed anche l'uomo nasce puro (... carne di bimbo, / che ancora / non conosce sciagura. /
Per questo, anche in terra straniera, solo, Paolicchi non cede alla disperazione.
"Il poeta"
Mai fu laureato
né soltanto maestro,
l'esperienza gli ha dato
del poeta l'estro,
verseggiando a tempo perso
quei momenti di vita,
che a lui
parean degni del verso;
e di giorno in giorno
più chiara si rinnova
la forza dall'ontanar
ciò che la mente ritrova.