Angelo
D’Agosta è attore, regista e autore teatrale. Classe 1985, debutta
alla regia a 22 anni con lo spettacolo “Il mio nome è Medea”,
patrocinato dall’Università degli Studi di Catania (con cui negli
anni continuerà a collaborare).
Sempre affascinato dalla capacità del Teatro di “smuovere le
coscienze”, dal 2011, ha indirizzato il suo percorso artistico
principalmente verso il Teatro Civile, affrontando tematiche come la
lotta alla mafia (con lo spettacolo Settembre 1990-Luglio 1992), lo
sfruttamento minorile (“Mi chiamo Iqbal Masih e sono un bambino”),
il diritto allo studio (“Malala. Questa è la mia storia”).
Particolare attenzione ha posto negli anni al tema dell’emigrazione;
dal 2013 lo spettacolo “La ballata sul mare lontano” racconta la
storia del viaggio degli italiani verso l’Argentina dal 1770 al
1960. Questa attività nel campo del teatro civile gli è valsa
diversi premi e riconoscimenti a livello nazionale. Come attore ha
già affrontato ruoli importanti; per citare gli ultimi in ordine di
tempo: è stato protagonista maschile negli anfiteatri greco-romani
con Ippolito in “Phaedra”, e nell’ultima produzione stagionale
del Teatro Stabile di Catania “Il Misantropo” di Molière,gli è
stato affidato il ruolo del Marchese Acaste (che storicamente viene
assegnato al primo attor giovane della compagnia). Tra le attività
collaterali della sua carriera, vanno indicate l’assistenza in
Direzione Artistica di un Festival Europeo al regista G. Anfuso (di
cui è stato anche aiuto regista in prosa e in due opere liriche, e
attore) e l’attività di docenza. Per l’appunto, la sua ultima
regia, lo spettacolo “Solo Andata” (di E. De Luca, che affronta
anch’esso il tema della migrazione), prodotto dal Teatro Stabile di
Catania (Stagione 2017), è stata la conclusione di un seminario
tenuto presso la Scuola d’Arte Drammatica dello stesso, che ne ha
fatto il più giovane Visiting Professor nella storia di una delle
più antiche Scuole di Teatro d’Italia.
L’Ombra di
Euridice
di Mario Giorgio La
Rosa
regia Angelo
D’Agosta
con Liliana Randi,
Filippo Brazzaventre, Angelo D’Agosta,
Giovanna Mangiù,
Amalia Borsellino, Costanza Paternò
regista assistente
Agnese Failla
Arrangiamenti corali
e voce solista Costanza Paternò
Coreografie e
movimenti scenici Amalia Borsellino
arrangiamenti e
musiche Vincenzo Gangi
costumi Riccardo
Cappello
luci Salvo Orlando
Realizzazione
impianto scenico: Teatro Stabile di Catania
l’ immagine di
copertina è di Mario Giorgio La Rosa
produzione Teatro
Stabile di Catania
in collaborazione
con il FAI
«Quanti
ricordano che Orfeo è stato un Argonauta? Per quali dei suoi viaggi
è stato raccontato nei secoli?» Mario Giorgio La Rosa.
Per essere esatti, nella tradizione mitologica, Orfeo non è un
poeta, Orfeo è, egli stesso, la poesia. La poesia che si fa uomo e
scende tra gli uomini, e, dopo la sua morte, s’impossesserà degli
uomini, facendo di loro, poeti. Volendo invece soffermarsi sulla sua
natura umana, Orfeo è un poeta. Come afferma l’autore, non è la
sua partecipazione all’impresa degli Argonauti il motivo per cui è
conosciuto. Un altro è il viaggio che lo vede protagonista e per cui
è ricordato. Orfeo, salpa con gli Argonauti, armato solo della sua
cetra. Orfeo è il poeta che “parte alla guerra”. Come Ungaretti,
che, circondato da morte e miseria, vegliando un compagno morente
sotto la luna, ha la forza di scrivere lettere piene d’amore, così
Orfeo, perché la poesia salva la vita…ma non la restituisce. È il
viaggio per riportare dal Regno degli Inferi l’amata Euridice, la
più famosa delle sue imprese. Fu un’impresa fallimentare però. Si
racconta che Orfeo, giunto quasi alla fine del viaggio, si volta
verso di lei, ed Euridice sparisce. La poesia può salvare la vita,
ma non restituirla.
Questo
spettacolo non vuole indagare sulle ragioni che hanno portato Orfeo a
voltarsi, rendendo vana la suafatica. Parafrasando Hugo Pratt, che,
con il suo Corto Maltese, racconta di “altri Romei e di altre
Giuliette”,
questo
spettacolo racconta di “altri Orfei e di altre Euridici”. Si
racconta di un viaggio all’inferno, il viaggio di chi, vedendo la
persona amata spegnersi lentamente, un poco alla volta, non riesce né
a trattenerla né a farla andare via. Perché spesso andare è un
sollievo al dolore … di chi va, non per chi resta.
Angelo D’Agosta
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