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Intervista
ad Andrea Muni
Oggi
ospitiamo nel blog Andrea Muni per darvi la possibilità di
conoscerlo.
1)
Benvenuto Andrea. Parlaci un po’ di te.
Trentaquattro
anni, sposato, papà di Alessandra, una bellissima bimba che in
settembre farà tre anni. Di mestiere, dal 2001 faccio l’insegnante.
Dal 2001 al 2005 sono stato maestro di scuola elementare. Dal 2005 ad
oggi insegno lingua e cultura italiana in una scuola serale per
adulti in cui ho studenti un po’ da tutto il mondo: Cina, India,
Filippine, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, Iran, Marocco, Algeria,
Tunisia, Egitto, Etiopia, Eritrea, Somalia, Ciad, Sudan, Nigeria,
Ghana, Costa d’Avorio, Brasile, Venezuela, Colombia, Romania,
Serbia, Kosovo, Albania, Russia, Ucraina... Di solito i miei colleghi
hanno fatto le loro prime esperienze di insegnamento come supplenti.
Essere supplenti è una condizione economicamente precaria, ma
permette di imparare pian piano la propria professione, di allenarsi
a questo ruolo che è molto complesso e delicato. Io invece, nel
2001, ho iniziato ad insegnare messo subito in ruolo, senza aver mai
provato le supplenze. Una fortuna, per alcuni aspetti, che molti mi
invidiano; per me però è stato difficile questo inizio, venendo da
una formazione esclusivamente teorica e storico-letteraria, senza
sapere niente di didattica spicciola o pratiche scolastiche. Dopo le
prime difficoltà, posso dire che l’insegnamento mi piace, è un
lavoro che non cambierei. Oggi c’è da dire che questa professione
è sempre più femminile: negli ambienti scolastici che ho
frequentato mi sono sempre trovato in minoranza, sempre pochi gli
uomini e tante le donne, anche nei ruoli direttivi. Credo che questo
dipenda dagli stipendi impiegatizi, poco motivanti, e da una diffusa
idea “materna” (direi piuttosto “mammesca”) dell’insegnante.
Nel tempo libero mi piace occuparmi di filosofia, della filosofia che
si legge e che si scrive nei libri. Ma il mio stesso lavoro
quotidiano mi piace intenderlo come un fare filosofia, insieme con i
miei studenti, un cercare insieme, un esercitare la propria umanità.
Quale filosofia più “nobile, alta e pura” di quella che si può
fare insegnando? Quale filosofia migliore di quella che si può fare
guardando negli occhi le persone umane, senza mai perderne di vista
la concretezza, la quotidianità materiale del vivere, le
particolarità dell’una e dell’altra in questo e in quel momento?
2)
Dalla tua biografia si legge che hai conseguito con la lode la laurea
magistrale in filosofia. Che cos’è per te la filosofia e che cosa
ti trasmette?
La
filosofia non è qualcosa, come un oggetto, ma qualcuno, un soggetto
che ci parla, ci provoca, e ci chiede di entrare in dialogo, di
domandare, domandare, domandare sempre, senza fine. Quando la domanda
si chiude in una risposta, la filosofia è finita. La filosofia apre,
non chiude. La filosofia scuote, sveglia, spinge, evoca, provoca,
inquieta, asseta, suscita, attira, solleva. Nelle scuole e nelle
università spesso non è così: ci si ritrova costretti a leggere
libri di filosofia quasi si trattasse di testi informativi o
razionali e non, piuttosto, esistenziali. Molti professori di
filosofia che ho conosciuto intendono la filosofia come storia ed
erudizione, altri la intendono come ragionamento; io preferisco
intenderla come un atteggiamento interiore dell’anima che,
inquieta, cerca e cerca dentro e fuori di sé l’acqua di cui si
sente assetata. Livello intimo del cuore che non esclude la ricerca
storica e teoretica, ma senza di cui tutto il resto diventa arido e
disumano.
3)
Parliamo adesso della tua carriera da scrittore. Cosa rappresenta per
te la scrittura?
Per
me, scrivere è un modo per costringermi a vedere, nero su bianco,
quello che penso: domande, desideri, paure, ideali, sogni, valori,
emozioni, ricordi, convinzioni. Vedere il mio stesso pensiero mi
aiuta a migliorarmi dentro. Pubblicare quello che scrivo è
costringermi a fare seriamente questo lavoro su me stesso, in modo
che possa darne conto ad altri, che non sia solo una faccenda “mia”,
una questione “personale”. Quando scrivo, non voglio essere un
“io” astratto, vuoto, che parla a se stesso, ma un “io”
concreto, inquieto, emozionato che parla a un “tu” altrettanto
concreto, umano, in carne ed ossa: il mio scrivere vuole essere
dialogico, colloquiale, esistenziale. Per me la scrittura è scavare
nell’interiorità, cercare dentro la mia anima, e nello stesso
tempo scrutare intorno a me, per cercare con tutta l’anima la
bellezza verso la quale la mia anima si sente attratta, per cercare
ciò verso cui mi sento intimamente attirato. Scrivere, per me, è
qualcosa che deriva dall’essere innamorato di ciò che è umano e
di ciò che è divino, e dal seguire questa condizione esistenziale
da innamorato dell’umano e del divino che c’è in noi e sopra di
noi. Innamorato della filosofia, che spinge l’uomo nel più
profondo del proprio cuore, e fino ai confini più misteriosi della
propria anima, là dove l’io tende la mano a Dio.
4)
Come e quando è iniziato il tuo approccio con la scrittura?
Il
mio approccio “pubblico” con la scrittura è iniziato nel 2009,
col mio primo libro: “Cose che gli insegnanti non dicono”. Il mio
approccio “privato” è iniziato molto prima, fin da bambino
potrei dire, anche in forma di gioco e di poesia. Da bambino mi
piaceva scrivere poesie.
5)
Parlaci adesso della tua opera Legge e libertà. Che cosa leggeranno
al suo interno i lettori?
“Legge
e libertà” è la mia tesi di dottorato in Filosofia. Parla di una
donna specialissima, straordinaria: Edda Ducci. Io per tre anni mi
sono occupato di questa donna, me ne sono innamorato in un modo
particolarissimo. Dopo questi tre anni, dopo aver scritto questo
libro su di lei, non mi sono ancora stancato di lei; anzi, ne sono
sempre più innamorato, ci trovo sempre nuovi aspetti che mi
incuriosiscono, mi affascinano, mi entusiasmano. Edda Ducci è morta
sei anni fa, nel 2007, ma per me è più viva che mai, ha una
capacità del tutto eccezionale di parlare dritto al cuore, di
toccarti l’anima, di sollevartela, di accendertela, di fartela
volare. È una filosofa di quelle vere: non di quelle meramente
accademiche, erudite, che fanno tanto sfoggio di cultura ma sono
interiormente vuote, fredde, buie: lei la senti sempre intimamente
luminosa, bella, ne percepisci sempre la natura di fuoco mai spento.
In questo libro parlo dunque del mio amore per questa donna che mi ha
acceso un fuoco nell’anima. Ma parlo anche di Platone, Aristotele,
Sofocle, Caterina da Siena, Tommaso d’Aquino, Kierkegaard, Ebner,
Fabro, Rossano, Tincani, Corallo, cioè i grandi autori che questa
donna ha tanto amato e dei quali si è fatta profondissima ed
originalissima interprete. In questo libro i lettori potranno
trovare, riletto attraverso la sensibilità profondamente femminile e
poetica della Ducci, tutto Platone, dialogo per dialogo, attraverso i
suoi vari personaggi, e molto Aristotele, molto Sofocle, senza le
pretese di un’astratta razionalità o di una fredda esposizione
manualistica, ma sempre con grande coinvolgimento affettivo e con
intimissima provocazione esistenziale.
6)
Quali sono le tue fonti ispiratrici, le tue muse?
Fonti
ispiratrici? Muse? Soprattutto tre: Edda Ducci, Platone e Sofocle.
7)
C’è qualche libro o racconto che hai letto e che ti ha colpito
tanto? Se sì, qual è?
L’Odissea.
L’Antigone.
La Medea.
9)8)
Sei un lettore? Quali sono i generi che riescono a catturare la tua
attenzione?
Mi
appassionano tutti i testi dell’antichità, da Omero a
sant’Agostino. Soprattutto i testi dell’Atene classica.
10)
I tuoi prossimi progetti?
Sto
preparando un libro, in due volumi, su Platone nel pensiero moderno e
contemporaneo, a cui stanno partecipando circa venticinque
specialisti, anche dal Brasile, dal Messico, dall’India, dalla
Francia. Dopo essermi occupato di Edda Ducci, in futuro vorrei anche
occuparmi di altre donne-filosofe del nostro tempo: ma su questo
punto non voglio dare anticipazioni.
il link al mio ultimo libro è questo:
una recensione all'ultimo libro fatta da una rivista dell'università di Perugia è disponibile on-line :
qui si trova una pagina su di me:
qui un'altra recensione:
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