jueves, 23 de agosto de 2012

SERENA AMATO - NAPOLI - ITALIA



 


Il pittore che si ispira alle sensazioni

I miei quadri sono resoconti della giornata, che di notte la mia mente produce come fotografie ed io devo solo afferrare i pennelli e i colori da mettere insieme”

BELLO MA SENZA SENSO (olio su tela)

Lo sguardo è quello incantato, sognante e trascendentale di chi porta con se un destino specifico: quello di Francesco Collura è sicuramente legato alla pittura. Il pittore che si ispira alla sensazione. Da Siciliano porta con se le sfumature e le seduzioni di una terra che canta le passioni più intense, i colori più caldi e i culti più sentiti. Ma Francesco sa che, come un podere da coltivare, oltre la sua terra, c’è altro da imparare e scoprire, deve piantare i semi che gli permettano di germogliare nella sua arte, cosi come la terra ben curata darà i frutti migliori. Va via da Palermo un giovanissimo laureato in scienze artistiche, portando con se uno zaino carico di sogni, tenacia e colori. Giunto nella capitale, la Roma della grandezza, percepisce che li può catturare il meglio per poi tornare in Sicilia, perché solo li la sua arte esprime la primavera dei colori e delle immagini pensate per le sue tele: la sua terra ha bisogno di lui come lui della sua terra, una simbiosi empatica, un legame viscerale tra madre Sicilia e una sua creatura.

Francesco Collura, pittore
Rientrato in Sicilia, decide di mostrare il vigore della sua arte a tutti ed apre un atelier: i suoi dipinti sono caratterizzati da uno stile particolare e riconoscibile che non si ispira ai grandi maestri del passato, ma che deriva da una attenta osservazione del mondo e dalla cattura dell’anima delle cose che analizza minuziosamente, cogliendone una sorta di carpe diem emozionale.
Le sue tele sono caratterizzate dal colore, da linee fantasmagoriche, dall’intensità degli sguardi, dalla sinuosità delle curve, dalla sensazione che, dietro quel pennello, ci sia un uomo emozionato, la cui anima palpita e trasforma in bacchetta magica quello stesso strumento da lavoro che da vita, con armonica disinvoltura, a colori, linee, punti ed emozioni.

L’EROE (olio su tela)

Francesco lancia un ponte verso l’onnipotenza dell’arte e della cultura, si fa condottiero del bel pensare e dell’intelletto artistico che, nel sud d’Italia, trova la sua culla, il suo nido ideale.
Il suo è un genere figurativo in cui si intravedono fatti concreti e sogni propri del pittore oppure delle emozioni che il pittore stesso percepisce nella gente comune.
Il suo rapporto con le tele appare simbiotico a tal punto che egli stesso si dipinge in esse, quasi come se i suoi lavori fossero un prolungamento della sua mente e della sua anima. Molto spesso nelle stesse opere sono rappresentati personaggi con un solo occhio imponente, icona di una critica alla società passiva e mono – critica nei confronti della res publica.
Osservazione, metabolizzazione, interiorizzazione ed esposizione della propria opinione attraverso il colore, una arte a tal punto emozionata ed emozionante che seduce, come il canto delle sirene, lo spettatore che si appresta ad osservarle, a sentirle. La sua è una voce che, come un vortice, trascina nella sfera emozionale con naturalezza, recuperando il mito dell’io che si svela dinanzi alla tela, espressione profonda dell’essere. Ogni dipinto contiene un “meccanismo catartico”, quasi come nel teatro greco antico: appena si ha il contatto con queste opere ci si trova modificati, come purificati dall’appiattimento quotidiano: come se, nel preciso momento dell’osservazione e della interiorizzazione, si lasciasse la condizione di capro espiatorio e si arrivasse ad una condizione di beatitudine psico – fisica.

Quegli occhi addosso (olio su tela)

La magia dell’arte e della cultura, quando ben coltivata, è proprio questo: una sorta di scarpetta magica che, se indossata, cambia la vita, fornisce gli strumenti per comprendere meglio e capirsi.
La varietà delle opere di Francesco Collura indica una capacità poliedrica di cogliere frammenti dell’io in tante cose, un io ispirato dai profumi, dai colori e dalla magia di una terra, la Sicilia, che porta nel suo seno, l’orgoglio di essere, insieme alle altre terre del sud Italia, regina del pensiero, dell’arte e della cultura.
La grinta, l’amore e le capacità di questo giovane pittore hanno portato la sua arte anche in molte mostre, come quando ha accettato l'invito del sindaco di Marina di Salina, esponendo "Ai 5 balconi" durante la notte della cultura 2013.
Per Francesco, ogni sorriso di chi osserva le sue opere è come una fotografia che lo emoziona e lo gratifica, la vittoria più importante e determinante della sua arte del fare cultura.
La Sicilia è anche questo.

Dott.ssa Serena Amato

Serena Amato, nata a Napoli ventotto anni fa, ha una laurea triennale in Conservazione
Dei beni culturali DemoEtnoAntropologici del Mediterraneo conseguita con 110 e lode
e menzione accademica della commissione esaminatrice unanime e una laurea specialistica
in Scienze dello spettacolo e della produzione Multimediale reportage socio-antropologico anch’essa conseguita con la votazione 110 e lode. Ha partecipato alla stesura de “Il libro delle superstizioni” del Prof. M. Niola. e della Prof.ssa E. Moro. Attualmente è collaboratrice presso la Cattedra universitaria di Antropologia ed Etnologia.

L’ammiraglio Horatio Nelson e lady Emma Hamilton

Storia di passione, amore, politica, avvenimenti bellici, ascesa sociale, intrighi e vita di corte legano indissolubilmente il nome del famoso ed ambizioso ammiraglio inglese Horatio Nelson alla frizzante ed affascinante lady Hamilton. La seducente Emma è di umili origini, ma l’incontro con l’aristocratico Greville cambia il suo percorso esistenziale: ella viene mandata a Napoli, capitale borbonica, per divenire compagna dello zio del giovane, Sir William Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte borbonica. Hamilton, invaghitosi dell’affascinante donna, la sposa, permettendole di essere introdotta nella corte borbonica e di divenire dama ed amica della Regina di Napoli e di Sicilia, Maria Carolina. La vita di Nelson si lega a quella di questa seducente lady nel 1793, quando l’ammiraglio giunge di passaggio a Napoli per richiedere al marito di Emma, Sir William Hamilton, l’intercessione al fine di ottenere rinforzi a favore del contingente inglese impegnato militarmente contro i francesi. Lady Hamilton, prende in pugno la situazione e decide di intervenire, usando la sua influenza sulla regina e riuscendo a concretizzare velocemente le richieste di Horatio. Nel 1798 l’ammiraglio Nelson, divenuto un eroe molto famoso ed ampiamente ammirato per le sue imprese belliche, torna a Napoli. Si ritiene che molti dei suoi successi si siano concretizzati grazie al contributo di Emma e della sua intelligente intercessione presso la regina borbonica, ( come ad esempio il permesso concesso agli inglesi di ottenere alcuni rifornimenti in Sicilia). A seguito delle sue grandi imprese, Nelson ottiene il riconoscimento del re Ferdinando I e la donazione da parte del sovrano, delle terre e della città di Bronte, in Sicilia, un luogo che Horatio vuole far diventare la dimora all’altezza della sua fama. Ma l’ammiraglio impavido non è nel pieno delle sue forze, Emma vede che quest’uomo ha perso un occhio ed un braccio in battaglia ed è stanco, spossato, qualcosa le dice di aiutarlo e cosi se ne prende cura nella casa del marito ed inseguito gli organizza una festa in onore del suo quarantesimo compleanno a cui prendono parte molti dei nobili napoletani. La passione si accende, improvviso divampa l’amore tra i due ed Orazio, sebbene sposato, è letteralmente travolto, schiavo d’amore di questa relazione sentimentale. Ritornata a Londra, Emma vive col marito, ma ospita spesso anche Nelson e dalla loro unione nasce una bambina, la piccola Horatia. Lady Hamilton è un’opera d’arte vivente per la sua bellezza con la quale ammalia, per il suo modo di sedurre e per le sue famose “attitudes” ossia le sue esibizioni consistenti in un misto di posa, danza e recitazione, in cui è adornata di scialli al fine di rievocare figure femminili dell’antichità: diventa famosa in tutto il regno ed in Europa anche per questa sua arte. Dopo la morte di Sir William Hamilton che quasi nulla lascia in eredità ad Emma, Nelson torna per mare, mentre lady Hamilton sola, affranta ed incinta del secondo figlio dell’ammiraglio (che morirà poche settimane dopo la nascita), senza il suo grande amore, dilapida la piccola pensione che il marito le ha lasciato e si indebita, mentre spera che il suo amato Nelson torni presto da lei sano e salvo, ma purtroppo ciò non accadrà. Dopo la morte di Horatio, avvenuta in battaglia, viene concretizzato, nel suo testamento, l’ultimo atto d’amore per la donna sempre adorata: l’ammiraglio oltre a concedere ogni bene alla sua famiglia ed assicurarsi che la moglie legittima viva in benessere e tranquillità, dona un dolce pensiero, tra le sue volontà post – mortem, alla donna cui si sente legato sentimentalmente, amore della sua vita, Emma Hamilton, a cui lascerà alcune dimore e beni di valore tra cui la sua stella di diamanti. Ma ciò non basta al sostentamento di Emma e della figlia, inascoltato rimane anche il tentativo precedente di Nelson di persuadere il governo inglese a far dare una pensione a lady Hamilton ed Horatia. Da ciò si può comprendere come Emma sia diventata padrona della vita dell’ambizioso Horatio e il modo in cui quella donna sia riuscita a sciogliere, in quel di Napoli, il cuore del freddo ammiraglio e a farlo divenire suo schiavo d’amore, in un intreccio tra sesso e potere, guerra e amore di epoca borbonica.
Dott.ssa Serena Amato


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« Vos et ipsam Civitatem benedicimus »

Messina, fondata dai Greci, fu chiamata in principio Zankle, un termine siciliano che indica la falce che a sua volta richiama la forma del porto naturale che è molto importante anche per il commercio dell’isola. In età Greca, questa città venne denominata Messene, poiché il tiranno di Reggio vi insediò i profughi della Messenia; in età romana il suo nome fu Messana; poi con l’avvento della dominazione araba in Sicilia, venne chiamata Massinah; infine dal periodo bizantino ad oggi la città è conosciuta con il nome di Messina. Lo stemma della città messinese è cosi descritto dall’araldica: « Scudo a testa di cavallo, di rosso alla croce d'oro, circondato da due tralci di vite al naturale fruttati d'oro, timbrato dalla corona di città ». Nel periodo svevo, angioino ed aragonese fu città prospera, entrò a far parte del Regno delle Due Sicilie assieme a Palermo; inoltre fu importante centro commerciale grazie al suo porto, divenendo la città del sud più ricca, seconda solo a Napoli. Ma un evento catastrofico colpì di notte la città siciliana alle ore 05.21 del 28 dicembre 1908: un terremoto di intensità violenta si abbatté senza pietà sul messinese, tra la Calabria e lo Stretto di Messina, rafforzato da un successivo e violento maremoto che trascinò via frammenti di storia ed identità culturale del luogo, oltre ad aver provocato tantissime vittime. I primi a soccorrere siciliani e calabresi furono russi ed inglesi, molte persone vennero trasportate a Napoli. A Messina si era trascorsa una serata tranquilla: si celebrava la festa di Santa Barbara e a Teatro veniva inscenata l'Aida; il tenore Angelo Gamba, che interpretava uno dei protagonisti dell’opera lirica, morì sotto le macerie dell'Hotel Europa ove risiedeva, insieme con la moglie e ai due figli. La Palazzata messinese, una storica serie di palazzi che affacciava sul porto, venne completamente distrutta, assieme al famoso Duomo di Messina, che venne in seguito completamente ricostruito con l’aggiunta del campanile laterale.
Messina vide polverizzarsi, in pochi minuti, la maggior parte della memoria storica legata a quella che era stata l'evoluzione urbanistica nei secoli precedenti.
La relazione al Senato del Regno del 1909 sul terremoto di Messina e Reggio è spaventosa: «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie».
Messina non è solo storia, ma anche cultura mito, rito, identità che si riflette in credenze, valori condivisi, religione, canti e balli popolari. Una tradizione sacra messinese racconta che San Paolo, giunse in questa terra per diffondere il cristianesimo. Qui subito coinvolse emotivamente i messinesi e saputa della presenza della Madre del Signore a Gerusalemme, alcuni ambasciatori siciliani giunsero nella Sacra Terra e la Madonna scrisse una Lettera con cui benediceva Messina, i suoi abitanti e ne diventava per sempre la protettrice: “‘Na littra priziùsa e risirvàta ‘ttaccàta cu ‘na ciòcca profumàta. Di ‘ddi capìddi di la Matri Santa Missìna ancora oggi si nni vanta”.
Messina terra di radicate tradizioni e folclore condiviso, un piccolo mondo grazie al quale è possibile intraprendere un viaggio profondo ed empatico verso la conoscenza delle radici di questa città siciliana. Grande importanza per il credo religioso di questa terra è il Venerdi Santo che , riprende una antica processione detta “Varette” risalente al 1610, in cui si possono osservare le statue della Madonna Addolorata, la passione di Cristo e l’Ultima cena. Il giorno della festa del Corpus Domini, dalla Cattedrale si snoda una lunga processione preceduta da fedeli incappucciati detti "Babaluci" e da tutte le associazioni, congregazioni ed arciconfraternite religiose della Città. Viene portato a spalla il "Vascelluzzo", un ex voto fatto dai messinesi in segno di ringraziamento verso la Madonna della Lettera la quale, in occasione di varie carestie, miracolosamente fece giungere nel porto della città alcuni vascelli carichi di grano.
Nei giorni precedenti il 15 agosto, per le vie di Messina si realizza la processione dei due Giganti e del Cammello, assieme a numerosi gruppi folkloristici. In particolare, le due colossali statue a cavallo raffigurano i leggendari fondatori della città, la messinese “a gigantissa” Mata ed il moro Grifone detto "u giganti ".
La festa che coinvolge il numero più alto di partecipanti è la celebrazione della Madonna dell’Assunta, rito di Ferragosto: viene portato in corteo pubblico un antico simbolo votivo: la Vara, raffigurante le fasi dell'Assunzione della Vergine Maria al cielo. A Messina, una leggenda racconta che Ruggero il Normanno, invitato dai messinesi a liberare la Sicilia dai musulmani, sentì d’un tratto odore di zagara, aranci, urla e musica da ballo. Nel mare apparve la fata Morgana che tentò di portare dalla sua parte il giovane sovrano che rifiutò sottolineando che avrebbe liberato la Sicilia grazie alla benedizione di Cristo. La fata scomparve. In virtù di questo aneddoto, si crede che, in alcuni giorni tersi, la costa calabra sembra tanto vicina alla Sicilia, che si possa quasi toccare con le mani: il fenomeno è dovuto ai cambiamenti della densità dell'aria prodotta da elevati gradienti di temperatura in vicinanza del suolo e alla conseguente variazione dell'indice di rifrazione. Attraversando lo Stretto di Messina, non si può fare a meno di pensare a Ulisse e a tutti gli inconvenienti a cui dovette fare fronte per poter ritornare ad Itaca, a causa dei mostri Scilla e Cariddi. Scilla, la mostruosa figlia di Ecate, legata all'oltretomba e alla luna, attendeva Ulisse e i suoi compagni sulla costa calabra, emergendo dal mare come una enorme piovra, mentre Cariddi si celava in una grotta della costa messinese, spaventava i navigatori creando mulinelli per inghiottire le imbarcazioni di passaggio. La leggenda messinese di Cola Pesce, invece, narra della decisione del re Federico II che, incuriosito dalle notizie delle imprese di Cola, lo volle mettere alla prova promettendogli grandi doni. Il re gettò per due volte a mare, un vaso d'oro e invitò Cola Pesce a recuperarlo, il quale ci riuscì, riportando al re il vaso d'oro. Al terzo lancio, Cola Pesce rimase in fondo al mare e non riapparve più in superficie: giunto in fondo al mare, si accorse che una delle tre colonne, quella di Capo Pelòro stava per cedere con la conseguenza che la sua Messina rischiava di sprofondare. Fu così che decise di rimanere in fondo al mare per sostenere sulle sue spalle la colonna di Capo Pelòro. Quando ci sono terremoti nell'area dello Stretto, la leggenda popolare messinese ritiene che Cola Pesce, a causa della stanchezza nel sorreggere sulla stessa spalla la colonna di Capo Peloro, la passa sull'altra e cio' causerebbe movimenti. Ecco spiegata la sismicità di questa zona.
Messina, splendida terra di leggende, di genialità e cultura, è nota anche per tradizione artistico - letteraria e pertanto grandi sono i nomi legati a questa rigogliosa terra del sud, si ricorda il pittore Antonello da Messina autore di due celebri dipinti “Salvator Mundi” prima opera da lui firmata del 1465 e “Vergine Annunciata datata 1475, una tela straordinaria, la più celebre del pittore messinese. In campo letterario, si cita il poeta romantico Giuseppe Felice Bisazza, che scrisse l’opera, “Versi Poetici”, la quale gli procurò l'ammirazione di molti influenti letterati e l'onorificenza della Croce di cavaliere da parte del re Ferdinando II delle Due Sicilie; altra personalità importante messinese fu il filosofo e geografo antico Dicearco da Messina. Nel pensiero del filosofo messinese, si elogia la vita attiva rispetto a quella contemplativa, si rinnega il fato e si consegna all'uomo la responsabilità nella costruzione del proprio destino. La decadenza morale e sociale è dovuta, dal punto di vista di Dicearco, al cattivo impiego della ragione. Anche la cucina messinese è famosa per i suoi piatti succulenti: tra le varietà culinarie ritroviamo la Caponata, la parmigiana di melanzane; la frittata di patate, l’insalata di pesce stocco, “i Pituni” tipica ricetta della rosticceria messinese, gli arancini, la tipica “pasta ‘nciaciata” con melanzane, carne trita, pomodori e provola; la “Pasta ca muddhica” a base di acciughe; la “Pasta 'a carrittera”; “U Maccu” con fave secche e pomodori; l’agnello alla messinese; calamari ripieni; pesce spada alla messinese; Aguglie fritte (custaddeddhi fritti); sino ad arrivare ai dolci messinesi famosi in tutto il mondo come la Pignolata, la cassata e i cannoli siciliani ed infine la frutta martorana che richiede una particolare attenzione per la preparazione della forma della frutta. Messina, un’altra perla che la terra del sud ha voluto donare al meridione d’Italia, profumata di tradizione, splendente di cultura e bagnata dalle acque dei miti, delle leggende e del folclore condiviso dal popolo siculo, brillante quadro pittoresco della sognante isola siciliana.

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Delitto d’onore e le donne tra Islam ed Occidente
L’ira funesta del delirio d’onore e della malinconia del rispetto creano capri espiatori che si accrescono grazie all’uso di una forza violenta insita nell’uomo che tende all’auto difesa della propria virilità; infatti, è proprio per proteggere il narcisismo virile che si uccidono vittime sacrificali, non scelte in base alla religione, cultura o tradizione, ma in
virtù di una distorsione del significato di certi simboli che risultano adattati al principio che si ritiene necessario, in questo caso quello della virilità. La mascolinità è una posizione che va conquistata attraverso passaggi rituali codificati o occasionali che richiedono all’uomo prove di coraggio da superare per evitare di perdere dignità verso la propria comunità. Nella Grecia omerica le donne sono burattini nelle mani dell’uomo, vengono considerate ombre del marito che devono provvedere alla casa e obbedire al maschio, servirlo e sostenerlo in silenzio nelle faccende politiche.
Esiste una simbologia legata allo strumento della lira che diviene icona della donna silenziosa e casalinga, dedita alla prole ed al marito, proprio come Penelope che attende casta il ritorno ad Itaca del consorte Ulisse, contrapponendosi alla donna flauto, come Medea, che sconvolge lo schema tradizionale, dando voce ad un’immagine femminile dedita agli eccessi e al piacere immorale.
A volte, la donna è concepita come un male necessario, naturale difettosità, il cui adulterio deve essere punito con il suo ripudio da parte del marito e l’uccisione dell’amante. Solo in questo modo l’uomo può evitare la privazione dell’onore ( atimia). In Giappone, l’uomo virile è una sorta di Bushido, un guerriero portatore di valori quali la fedeltà, attività e spirito di sacrificio. Egli è posto di fronte a due tipi di prove per raggiungere la mascolinità completa: attraverso la koha1, dura scuola militare oppure praticando la nanpa, scuola morbida, che rende questi uomini pratici ed esperti economi con uno spirito tenace nel lavoro, qualità ritenute primarie per un raggiungimento effettivo della virilità.
Ovunque si parla di virilità. Essa è proprio come una maschera perpetua cucita sul volto dell’uomo che cosi riesce a commettere le più impensabili azioni, pur di difendere il proprio onore e la reputazione pubblica. Uccidere per salvaguardare il proprio onore è una pratica che getta le radici in tempi antichissimi ed è legata soprattutto ad una resa dei conti che avviene in ambito familiare, spesso nei confronti delle donne, ritenute inferiori fisicamente e moralmente per natura: maior dignitas est in sexu virili.
La virilità giustifica il possesso di una donna, spesso offesa senza che possa ribellarsi; nella sua condizione, ella non può amare e non può unirsi all’uomo dei sogni perché rischia di pagare con la vita la nefasta scelta: non è lecito per una donna essere straordinaria nel senso di diversa, strana, straniera alla comunità di appartenenza, allo scopo di evitare contatti esterni che contaminino la cultura autoctona, la quale si chiude nell’immunità tradizionalista dell’intolleranza.
La virilità e l’onore maschile legittimano ogni tipo di violenza ritualizzata come duelli, omicidi e anche delitti per la salvaguardia dell’onore che si rivolgono fondamentalmente contro consorti, sorelle e figlie. Il cammino dell’uomo ha conosciuto, in molte epoche ed in svariati paesi, uccisioni rituali di donne, bambine, mogli che non rispettando il codice virile, hanno pagato con la vita questo attentato al diritto maschile.
Nella Grecia classica, il noto oratore Lisia  (Atene, 445 a.C.  Atene, 380 a.C.) scrive un discorso in difesa di un ateniese chiamato Eufileto che aveva ucciso un uomo, Eratostene, sorpreso nella propria abitazione a commettere adulterio con sua moglie.
Per concessione della legge ateniese, un marito tradito poteva punire personalmente l’adulterio se l’avesse colto in flagranza di reato, applicando la sanzione prevista, che consisteva nell’uccidere l’adultero.
In virtù del diritto attico, un caso di questo tipo, non veniva considerato assassinio ma
phonos dikaios, un omicidio giustificato, perché un cittadino in casa propria aveva il diritto di eliminare chi voleva nuocergli e tale sanzione valeva sia per i seduttori che per i ladri colti sul fatto.
Il delitto d’onore per adulterio era anche presente nelle “Leggi scritte col sangue” di Dracone, che tra le varie punizioni, consentiva anche di uccidere l’adultero; infatti,
l’offeso poteva accettare denaro (poinè) in cambio del torto subito oppure poteva intraprendere una causa per adulterio (graphè moikeia). Il marito oltraggiato aveva
l’obbligo però di ripudiare la moglie che, a quel punto, veniva esclusa da ogni iniziativa sociale e privata di ogni ricchezza, dichiarandone la morte sociale e divenendo un rifiuto della società.
L’Apologia per l’uccisione di Eufileto (Yper tou Eratostenous phonou apologhia) coinvolge Lisia nella difesa di questo marito tradito che uccide l’amante di sua moglie e, sebbene per questo reato non fosse previsto un giudizio in tribunale, l’uomo si trova
implicato perché alcuni parenti dell’adultero temevano che Eufileto avesse organizzato un piano per riuscire a cogliere l’adulterio in flagrante.
Nonostante ciò, il tribunale sancisce, grazie anche ad una delazione, la legittimità dell’atto perché è un omicidio giustificato a scopo d’onore.
La perorazione difende Eufileto come cittadino onesto che ha applicato le leggi e pertanto non può essere punito al posto di chi viola, egli ha il diritto di giudicare i reati di sangue, infatti, Eufileto dice “ …non ti uccido io, ma la legge della città (ouk egò se apoktenò, ap’ò tes poleos nomos)”.
Nella Roma classica, epoca in cui la donna veniva considerata un bene e comperata da colui che la bramava come sposa ( per coeptionem), l’adulterio delle mogli verso i mariti veniva punito in modo violento, condannando queste donne ad una morte crudele, se scoperte in flagranza di reato.
Molti amanti venivano uccisi a colpi di scudiscio, ad altri venivano amputati i genitali. Augusto, in epoca imperiale, stabilì che solo il padre poteva uccidere la donna sorpresa in flagranza di adulterio ed il marito poteva cacciare l’amante. Ma con Costantino e poi con Giustiniano, la pena di morte per l’amante di una moglie, viene riconfermata.
All’epoca romana risale la vicenda di Fausta Flavia Massima ( 298- 326 d.C.) che divenne moglie dell’imperatore Costantino I.
Nel 326, accusò Crispo, figlio di primo letto dell’imperatore, di averla sedotta, facendolo condannare a morte. Quando Costantino venne a conoscenza dell’innocenza del figlio, probabilmente ordinò di strangolarla in un bagno caldo o altre fonti dicono che fu uccisa con l’accusa di adulterio e condannata alla damnatio memoriae.
Durante il Medioevo, il Cristianesimo non badò alla parola di Gesù che prevedeva che la donna fosse libera, ma la rese esistenza subalterna in due modi: da un lato l’atto sessuale aveva lo scopo esclusivo di generare prole, destinando la donna ad una maternità forzata proprio per la capacità tutta femminile di creare nuova vita; dall’altro eleggendo la donna a figlia, moglie e madre, sancì la completa subalternità femminile. Addirittura, in molte chiese, le donne avevano un ruolo inferiore, da un lato esse dovevano smettere di parlare (mulieres in ecclesiis taceant), una sorta di rimprovero al vocio femminile, dall’altro spesso si impediva loro di intonare canti religiosi. Pertanto, la loro condizione interiorizzata e in stato subalterno, le rendeva preziose schiave dell’uomo, da lui dipendevano e a lui dovevano rispetto.
Cosi, una triste leggenda medievale ricorda la nobildonna Rosania Fulgosio, vissuta nella seconda metà del 1200 ed andata in sposa ad un signore di Gropparello in Val D’Arda, Pietrone da Cagnano. Quest’ultimo, durante le lotte tra feudatari, abbandonò Rosania, spinto dal dovere e dall’ardore bellico, caratteristiche proprie di un uomo d’onore.
Da sola Rosania divenne facile preda dei nemici, infatti, si lasciò trasportare dalla passione per il capitano Lancillotto Anguissola, antico amore di gioventù, che la lasciò poco dopo per tornare alle imprese belliche, dovere ed orgoglio di un vero guerriero.
Al suo ritorno, scoperto l’adulterio, Pietrone decise di costruire una stanza segreta, nascosta all’apparenza da pietre, per murare viva la moglie, in modo che la rea azione sarebbe stata punita con la dannazione eterna della sua anima infatti, le sue ossa non sono state ancora ritrovate.
La sua virilità ed il delitto d’onore ai danni di Rosania furono pienamente realizzati.
Altra vicenda legata al delitto d’onore è quella di Paolo e Francesca, ricordati da Dante nel suo Inferno, colpevoli di adulterio e puniti per non macchiare l’onore dei casati. Francesca fu costretta a sposare lo storpio Gianciotto Malatesta, uomo provato dalle guerre ma molto ammirato proprio per le sue capacità fisiche durante le battaglie.
La giovane e bella Francesca si innamorò però del fratello di Gianciotto, Paolo, bello e vigoroso, che una sera, leggendo insieme alla cognata di Lancillotto e Ginevra, cadde preda della passione.
Gianciotto, scoperto il misfatto, ripulì il suo onore con un doppio omicidio: uxoricidio e fratricidio: “ amor ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer si forte, che come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina
attende chi a vita ci spense…”
Anche Pia Dè Tolomei, andò in sposa a Nello dei Pannocchieschi, signori della Maremma.
Probabilmente, la donna, falsamente accusata di adulterio in assenza di Nello, venne rinchiusa dal marito nel castello di Pietra, infetto di malaria, ove Pia si ammalò e morì di stenti.
Anche in questo caso, molti dicono di aver visto un fantasma femminile gettarsi dal balcone del Castel di Pietra: “ ricordati di me che son la Pia. Siena mi fe disfecemi Maremma salsi colui che inanellata pria, disposando, m’avea con la sua gemma”. Durante il Rinascimento, alle donne fu concesso di prender parte a eventi di vita e di arte, ma questo restò un privilegio riservato alla classe aristocratica. Differenti erano le condizioni dei ceti subalterni in cui la donna era per natura relegata negli affari domestici e sotto il controllo del coniuge.
Tutti i sacrifici economici venivano condotti per dare prestigio al figlio maschio, mentre alla figlia femmina si cercava un buon partito da farle sposare.
Tragica vicenda rinascimentale è quella di Beatrice Lascari Tenda, duchessa di Milano, che sposò in prime nozze, il condottiero Facino Cane e in seconde nozze il conte di Milano Filippo, che scoprì una corrispondenza equivoca e accusò la moglie di adulterio. Fece uccidere lei e il suo amante attraverso torture cruente. Molti credono ancora oggi nell’innocenza di Beatrice.
Anche nella nota famiglia De Medici si consumarono due omicidi a distanza di poco tempo: il primo fu quello di Leonora de Toledo che sposò Pietro de Medici, il quale trascurava la giovane moglie, che trovò conforto nelle parole del nobile Bernardo Antinori.
Pietro riuscì ad intercettare delle lettere della moglie e stabilì di ucciderla, soffocandola a Villa di Cafaggiolo con le proprie mani, mentre Antinori morì in prigione.
Pochi giorni dopo, fu Paolo Orsini ad uccidere la moglie Isabella de Medici in Villa Cerreto Guidi, perché venuto a conoscenza di una relazione adultera tra lei e Troilo Orsini.
Altra triste storia è quella di donna Laura Lanza, che per un patto paterno, andò in sposa al Barone di Carini. Delusa dalla vita matrimoniale, incontra e s’innamora del giovane e nobile Ludovico Vernagallo e tra loro sboccia la passione amorosa.
Il Barone, scoperta la relazione, informa il padre di Donna Laura, che decide di uccidere la figlia e l’amante, nella camera da letto del castello di Carini dove i due avevano consumato notti d’amore e dove erano stati colti a commettere adulterio.
Nel 2007 il regista Umberto Marino realizza una sorta di secondo atto dedicato alla Baronessa di Carini. L’opera si ambienta nell’1800: Laura è la reincarnazione di Donna Laura Lanza, vissuta in epoca rinascimentale mentre Luca, l’uomo di cui si innamora, quella di Ludovico Vernagallo.
La vicenda è la medesima con la variante finale per cui i due giovani amanti si salvano, lasciando morire il marito di lei nel castello che brucia tra le fiamme, insieme alla maledizione del casato Lanza.
Questo excursus di esempi tutti italiani è un modo per comprendere che il delitto d’onore è stato pratica diffusa e soprattutto per sfatare il mito del XXI secolo che ritiene che siano esclusivamente gli islamici ad aver usato ed usare quest’arma per sottomettere il sesso femminile. Se gli esempi riportati possono sembrare troppo lontani, risultano comunque essere una prova del fatto che in Italia il delitto d’onore è stato presente per molti secoli. Basti pensare che fino al 1981 vi furono delle attenuanti al delitto d’onore, infatti, sino a quell’anno, la Corte d’Assise riconosceva con l’articolo 587 c.p. l’offesa all’onore, dichiarando:

Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell´atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d´ira determinato dall´offesa recata all´onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

L'art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena per chi uccidesse la moglie, la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". La circostanza prevista richiedeva che vi fosse uno stato d'ira (che veniva in pratica sempre presunto). La ragione della diminuente doveva reperirsi in una "illegittima relazione carnale" che coinvolgesse una delle donne della famiglia; di questa si dava per acquisito, come si è letto, che costituisse offesa all'onore. Anche l'altro protagonista della illegittima relazione poteva dunque essere ucciso contro egual sanzione.
Quando in Corte d’Assise ad un imputato tradito veniva riconosciuta la giusta ragione per l’atto violento ai danni della moglie adultera, il pubblico in aula applaudiva.
Uccidere la moglie infedele, dare rispetto ad una figlia disonorata, era un dovere d’onore per un vero uomo.
Nel 1905 lo scultore Filippo Cifariello era sposato con Maria de Brown, quando la sorprese a letto con l’amante: la reazione fu immediata cioè uccise entrambi.
Nel 1954 Luigi Millefiorini uccise la moglie adultera e fu scarcerato tra il tripudio maschile. Nel 1978 un maresciallo della polizia pose fine alla vita della moglie che gli
dichiarò di amare un altro uomo. La condanna fu di soli 2 anni di reclusione. Il disprezzo di alcuni verso tale pratica violenta è ricordato nel film del 1961 del regista
Germi “ Divorzio all’italiana”, in cui un barone siciliano cerca di farsi tradire dalla moglie per potersene liberare secondo legge quindi attraverso il delitto d’onore, per
potere giacere con la donna che desidera.
Il barone fu condannato ad una sanzione ridotta e sposò in seguito la donna di cui si era invaghito.
Sino al 1980, quindi, si uccideva senza subire grandi disposizioni perché veniva considerato un atto giusto. L’avvocato Giuseppe Casalinuovo cosi difese l’atto d’onore del signor Mazzone : “E´ il disonore che ci devasta, che ci rende folli. In noi c´è il fuoco dei nostri vulcani... se sei tradito uccidi, te lo gridano i tuoi avi da millenni, te lo gridano i tuoi morti da tutte le fosse. Uccidi, se no sei disonorato due volte”.
In Italia, alcuni tentarono di abolire il delitto d’onore. L’ordinamento penale sancì l’incostituzionalità dell’articolo 559 c.p. che prevedeva la punizione del solo adulterio della moglie e non anche del marito e del concubinato del marito (sentenze n.126 del 19 dicembre 1968 e n.147 del 3 dicembre 1969, ma in precedenza, nel 1961 si era già espressa in senso opposto). La prima sentenza fu compiuta dall’onorevole Oronzo Reale che propose l’abrogazione delle particolari previsioni sull’omicidio a causa d’onore, idee rilanciate anche da Vassalli. Ma tali abbozzi di legge rimasero bloccati perché non benaccetti dall’opinione pubblica.
Solo dopo il referendum sul divorzio (1974), quello sul diritto di famiglia (1975) e quello sull’aborto, gli ordinamenti sul delitto d’onore vennero revocati con la norma giudiziaria 442 del 5 agosto 1981. Tale ragionamento serve a dimostrare che non solo i musulmani radicali abusano del delitto d’onore, (tra i casi più recenti si ricordano quelli della pakistana Hina Saleem e della giovane Sanaa Dafani), poiché anche l’Italia ne ha fatto largo uso. Sono tutti colpevoli, nessuno giusto.

Serena Amato

                                                        LEONFORTE
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Situata a 625 metri sopra il livello dele mare, Leonforte si colloca sulle pendici meridionali dei monti Erei a sud del monte Altesina ed è conosciuta, tra le altre cose, per essere una zona particolarmente ricca d’acqua.
Leonforte fu fondata nel 1610 dal barone di Tavi N. Placido Branciforti sul cui stemma gentilizio troneggiava un leone coronato d'oro. Il nome Leonforte fu scelto per eternare la stirpe dei Branciforti.
Molti studiosi ritengono che in questa zona si ergeva l’antica città sicula di Tabas o Tavaca.
Arroccati su una rupe sorgono i ruderi del castello di Tavi volgarmente detto “u Castiddazzu”. La fortezza, di probabile origine bizantina, divenne poi un elemento di difesa arabo e poi normanno fino a divenire sede della “Baronia di Tavi”. In seguito, nelle vicinanze di questa struttura, si è costituito il famoso “casale”. In quel periodo nacquero anche sistemi per permettere l’irrigazione delle colture e vari mulini che avevano il compito di sfruttare l’abbondanza dell’acqua nel migliore dei modi. A poca distanza dal Castiddazzu si incontrano i ruderi del Castello di Guzzetta che ebbe delle vicende storiche analoghe alla fortezza di Tavi. Nel territorio sono presenti alcuni oratori rupestri di epoca Bizantina tra cui la Grotta di S. Elena.
Sulla cima del monte Altesina si possono scorgere i resti di un villaggio preistorico mentre sulle pendici e possibile ammirare i ruderi del “
Cummintazzu”, antico eremo di monaci denominato S.Maria di l’Artisina.
Di questa suggestiva città siciliana, noti per la loro incantevole bellezza, sono da menzionare la Montagna di Mezzo, il Monte Scala e il Monte Boscorotondo: luoghi naturali che mostrano affascinanti ambienti rocciosi e un'intricata vegetazione boschiva, presenti anche querce da sughero, roverelle, lecci e ogliastri. Sulle pendici di Montagna di Mezzo si posso ammirare i ruderi della Masseria della Principessa, antico opificio per la produzione dell'olio. Sul versante meridionale di Monte Scala si innalza un antico abitato rupestre conosciuto col nome di Grotte Formose. E’ interessante citare il Lago Nicoletti, nato negli anni settanta come invaso artificiale, che ospita stagionalmente numerosi uccelli migratori oltre ad altre specie legate all'ambiente acquatico. 
Lungo la vallata del fiume Bozzetta è ubicata Villa Gussio, interessante realizzazione patrizia dell'800. Di notevole attrazione sono i reperti archeologici industriale tra cui la Filanda, la Miniera di Zolfo di Faccialavata ed i mulini ad acqua.
Leonforte è terra ricca di storia, cultura, miti, credenze, religione, tradizioni popolari e feste ampiamente condivise che rendono questo luogo una intensa ed affascinante culla di folklore. Ad esempio l’evento dell'Artara di San Giuseppe a Leonforte ha una tradizione lunga 400 anni. Le Tavolate sparse in tutto il territorio vengono invase da tantissimi turisti che arrivano nella città della Granfonte per prender parte ad una delle feste più sentite dalla comunità. Via I Maggio, Giuseppe Baia, Nocilla, Raimondo, Condotti, piazza Cappuccini e corso Umberto (villa Bonsignore), sono solo alcune delle vie che ospitano svariati altari i quali, a partire dal pomeriggio del giorno 18 marzo, vengono poi visitati da un gran numero di persone pronte a trascorrere una serata all’insegna della devozione e della degustazione di vini, cardi, sfingi, finocchi, pupidduzzi” (il noto pane benedetto) ed altri prodotti tipici. Caratteristica particolare del San Giuseppe è la collaborazione dei commercianti leonfortesi che nelle proprie vetrine espongono altarini votivi a San Giuseppe. Già dal pomeriggio del giorno 18 marzo e per tutta la notte fino alle prime luci dell’alba, una moltitudine di gruppi festosi si riversa per le antiche strade di Leonforte impegnata a "girari l’Artara", un lungo peregrinare alla ricerca degli altari, individuati da inequivocabile segnaletica: un tempo una semplice scatola di scarpe foderata di carta velina rossa illuminata dall’interno così da potersi leggere, ritagliato sul coperchio, l’acronimo: W S.G. (Viva San Giuseppe), oggi sostituita da una più pretenziosa stella punteggiata di numerose luci. Gli altari o tavolate sono realizzate da chi ha "fatto voto” e consistono in una grande tavola imbandita oltre che di pane lavorato in particolarissime foggie (le cuddure”). Il pane è sicuramente l’elemento fondamentale dell’altare ed indica la “Grazia di Dio”. La preparazione dell’altare, appunto, richiede l’apporto e lo sforzo dell’intero vicinato (S. Giuseppi voli traficu: S. Giuseppe esige un estenuante lavoro). L’altare viene concluso dal “cielo”, ovvero da un drappeggio di veli da sposa disposti ad arte come un baldacchino, e da una immagine del Santo posta tra i veli proprio di fronte.
La lunga notte della girata dill’Artari trova il suo momento più importante quando Leonforte è letteralmente invasa da una moltitudine di visitatori provenienti da ogni parte della Sicilia e si assiste alla recita delle raziuneddi: preghiere dialettali che narrano la vita di Gesù, di solito dette da intraprendenti ragazzini che così si guadagneranno i pupiddi da portare al collo, tenuti insieme da uno spago fatto passare attraverso il foro centrale del pane, fregiandosi di questa collana con orgoglio. A mezzogiorno del giorno 19 marzo, si giunge alla cerimonia conclusiva con la partecipazione dei santi ai quali verrà distribuito quanto imbandito sull’altare. Ad ogni santo, attraverso rituali codificati, vengono distribuite una serie di vivande, non prima però che il padrone di casa, con un rito che vagamente ricorda quello dell’ultima cena, abbia provveduto loro alla lavanda ed al bacio dei piedi. A Leonforte vi sono anche dei prodotti tipici, caratterizzanti e molto noti che rafforzano maggiormente la fama e la bellezza di questa terra siciliana. Leonforte, è famosa per le sue pesche dette “settembrine” che maturano tra la fine di agosto e l'inizio di novembre con una concentrazione nel periodo che va da settembre a ottobre. Sono esternamente gialle con polpa molto aromatica. La caratteristica peculiare che contraddistingue la peschicoltura a Leonforte è la pratica dell'insacchettamento sulla pianta dei singoli frutti, a partire dalla seconda metà di giugno, quando le pesche verdi vengono inglobate in sacchetti di carta (manualmente). Nel periodo di ottobre ogni anno si attua la Sagra delle Pesche e dei prodotti tipici di Leonforte. La Sagra non è solo dedicata alla pesca, ma è divenuta un’occasione per la promozione di altri prodotti tipici: la “Fava Larga”, l’olio extravergine di oliva, le mandorle, legumi di ogni tipo, conserve e altri prodotti provenienti da tutte le parti della Sicilia quali il miele biologico e i fichidindia. Per l'occasione, vengono allestiti punti per la degustazione delle pesche preparate in particolari e gradevoli confezioni, sono presenti stand con prodotti autoctoni e manufatti artigianali. L’evento è accompagnato da spettacoli teatrali, canti e balli folkloristici. Il tutto ha come sfondo la splendida cornice del Centro Storico di Leonforte e delle sue maggiori piazze. Leonforte, grazie anche alla Sagra, diventa meta per un attento approfondimento storico e culturale e folkloristico di questa terra.
Dott.ssa Serena Amato
Serena Amato, nata a Napoli ventisette anni fa, ha una laurea triennale in Conservazione
Dei beni culturali DemoEtnoAntropologici del Mediterraneo conseguita con 110 e lode
e menzione accademica della commissione esaminatrice unanime e una laurea specialistica
in Scienze dello spettacolo e della produzione Multimediale reportage socio-antropologico anch’essa conseguita con la votazione 110 e lode. Ha partecipato alla stesura de “Il libro delle superstizioni” del Prof. M. Niola. e della Prof.ssa E. Moro. Attualmente è collaboratrice presso la Cattedra universitaria di Antropologia ed Etnologia.


Dott.ssa Serena Amato

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Serena Amato, nata a Napoli ventisette anni fa, ha una laurea triennale in Conservazione
Dei beni culturali DemoEtnoAntropologici del Mediterraneo conseguita con 110 e lode
e menzione accademica della commissione esaminatrice unanime e una laurea specialistica
in Scienze dello spettacolo e della produzione Multimediale reportage socio-antropologico anch’essa conseguita con la votazione 110 e lode. Ha partecipato alla stesura de “Il libro delle superstizioni” del Prof. M. Niola. e della Prof.ssa E. Moro. Attualmente è collaboratrice presso la Cattedra universitaria di Antropologia ed Etnologia.