miércoles, 26 de agosto de 2015

ANNA MILAZZO CECCHI - SICILIA - ITALIA

(material enviado por la escritora siciliana)




(Infinito Edizione - Prefazione: Massimo Carlotto)

                                           ¿En cuál dimensiòn?

    Cuando en mi casa el silencio muerde tu ausencia y mi asombro se vuelve dolor por los tapices que he quitado y por aquellos que te he negado, por esos de turquesas marinas como el mar donde aprendiste a nadar y yo llamándote para que no te alejaras mas allá de mi mirada y tu volvías, pedacito negro con colita enrizada, cuando el amor por ti se burlará del tiempo y el olvido reconocerá su derrota, entonces dime, perrita mia, en cuál dimensión nos encontraremos?

  Poesia di Anna Milazzo

                                              Effimeri come i sogni 
Come la rugiada del mattino 
o La scia di una stella cadente 
e Noi incapaci di imparare 
L'abbandono del nostro corpo 
Come il granello di polvere Sulla terra.




 Primera presentación en libreria Feltrinelli de Firenze


Con la presidenta de la Cámara de Diputados de Uruguay en el 2005

Encuentro con una asociaciòn socio-cultural en Firenze.


Con la prof. y escritora Martha Canfield en la presentación en la Fondazione Kennedy

 Presentación y conferencia con alumnos del Instituto Superior de Bologna

 Presentación del libro en el Rotary Club de Firenze



 Presentazione libri mio e di Vera Jarach, nell'ambito della mostra dell'avv. Marcello Gentili

 Presentazione ad Arezzo con la curatrice Beatrice Gnassi

 Foto salone del libro di Torino
Ritorno
Aidone, una terrazza che si apre su una valle sconfinata, sulla pianura etnea e i monti Erei. Sinuoso serpeggia l'antico fiume Gornalunga. Le pietre della grande acropoli Morgantina conservano il suono dei passi di antiche civiltà- Sicani, Siculi e altre- fino alla colonizzazione greca. Oggi, nel grande anfiteatro, il tempo volta gli occhi al passato che si materializza nell'atmosfera magica delle commedie, delle tragedie e poesie degli intramontabili autori greci.
La dea di Morgantina elargisce dolci frutti ai suoi figli, in cambio di uno sguardo rispettoso e umile. Dionisio, invece, attende i forestieri con una coppa di vino e incita i musicisti a suonare melodie divine. I giovani, ebbri di vita, danzano fino all'alba, mentre i vegliardi assaporano i superbi formaggi, le olive e i frutti protetti dalla dea Korà.
Tutti i sensi si risvegliano in questa magica terra, un regno si schiude e fa tremare chi lo sfiora con un tocco soave, incerto, perché non sembra di questo mondo.
1.
Arrivo in primavera ed è già il mio autunno
Cerco impronte di bambina
Mai andata via
Mi inerpico, percorro una verdeggiante
Sottana materna
Sfioro pietre, sembianze dimenticate
Impregnate di essenze millenarie.
Nel vortice di emozioni colorate
Smarrisco me stessa.
Dov’è la mano paterna
A ricondurmi nel ventre di una florida,
amara terra?
La mano è assente
Non il ricordo del pianto di mia madre.
Fra i dolci profumi della zagara
Scorgo lo splendore negli occhi degli amanti e
L’arcaico terrore della lontananza.

Aidungh’ *

Dalle sorgenti delle alte acque
La vita germina senza posa
Nasce segretamente
Si incanala verso luoghi lontani
Nello scorrere
Il silenzio sprigiona un ritmo
Emerge la parola poetica
Privo di musica
Il logos rimane muto.
Tessute di ritmi ed armonie
Sono le figlie di Morgantina

Anna Milazzo

16.08.2016
*Aidungh’: Aidone in gallico siculo  


POESIA di Anna (italiano-español)


Vita
Canto agli acini di uva matura
Ai rubini di melograno
Al fruscio delle ciliegie mature
Sulla terra nuda.
Canto alla pioggia che accarezza il giglio in fiore,
Ai miei passi leggeri sul tappeto di foglie
Agli occhi di notte di luna di Maia
Al mormorio dei rami
Al tuo sonno profondo che
Accompagna la mia insonnia
Caparbia nel capire chi sono.
Dimenticando scivolano le ore,
L'ombra di una ruga bacia
La pergamena, nostra pelle.

Anna Milazzo
Settembre 2014

Vida
Canto a los racimos de uva madura
A las semillas de la granada
Al roce de las cerezas maduras
Sobre la tierra desnuda.
Canto a la lluvia che acaricia el liro en flor
A mis pasos livianos sobre la alfombra de hojas
A los ojos de noche de luna de Maia
Al murmullo de los ramos
A tu sueno profundo que
Acompana mi insomnia
Empecinada en buscar mi ser.
Olvidando deslizan las horas,
La sombra di una arruga besa
El pergamino de nuestra piel



Emozioni autunnali



Un riflesso di luce accarezza i rami dell'abete

Indora le foglie di un albero caduco

Il mio corpo chiama

Reclama

Non si rassegna al tempo che passa

Nel mio narrare

Rivivo le mie foglie dorate

Parole sussurrate

Gridate

Scritte

Al tramonto divengo me stes

In ogni parola

Mi chiudo a foglia



Sono salva






                 CUENTO DE ANNA MILAZZO


Es un soplo la vida

La vita è un soffio. Sono le parole di un famoso tango, ma non solo. E’ la riflessione comune sulla dimensione temporale della vita, sulla sua brevità, talvolta accompagnata da una lieve nostalgia per le occasioni perdute o per quelle vissute che non torneranno più.
Eppure non c’è solo la dimensione temporale in queste parole. Il soffio è la vita stessa, è il primo segnale che diamo al mondo per dire che ci siamo e l’ultimo per dire che ci congediamo.
Basta ascoltare il soffio per capire le emozioni, le speranze, le energie che rompono il silenzio del mondo.
E non sempre è uguale, e non per tutti è la stessa cosa anche se siamo immersi nella stessa terra, nella stessa casa o nello stesso letto.
Ma si può essere contagiati dal soffio di qualcun’altro, di un uomo, di un bambino, di un vecchio e persino da quello di un animale.
Sì, di un animale come Maia la mia cagnolina che con il suo soffio mi trasporta nel mondo dell’infanzia, del gioco, della vita e anche dell’incoscienza.
Quante volte quando esco con lei mi preoccupo di non essere travolta dal suo soffio impetuoso, dalla sua frenesia di scorrazzare nei prati o di cavalcare nelle acque di un ruscello?
E’ tempestosa, vibrante, impulsiva; non si può rimanere impassibile al suo soffio.
Maia, una volta sciolta dal guinzaglio, corre a scavezzacollo, inseguendo tutti gli uccelli che si trovano in quel momento a cercare cibo fra l’erba e quando loro sono costretti a volare per difendersi, si rivolge a me e abbaia.
E’ solo un Bau!
Vuole dirmi “guardami come sono brava “e i suoi occhi di lupetta scintillano dalla gioia.
Anche quel Bau è un soffio, accompagnato da un’emozione o da più emozioni: gioia, soddisfazione, richiesta di riconoscimento.
Adora strusciarsi sulle margherite bianche, lei tutta nera, con quel pelo setoso, lucido, gli orecchi vellutati, il battufolino bianco sul petto e le zampine spruzzate di nevischio.
Si rotola, si stropiccia la schiena mettendo in bella vista i bottoncini delle sue mammelle e la fragolina fra le cosce, trasformando il suo soffio in una melodia intrisa di piacere, di innocenza e di semplicità.
Sono tentata di fare come lei, di strusciarmi sulle margherite o sulle viole, impregnandomi della fragranza dell’erba fresca e sentirmi tutt’una con la terra.
Ma anche a questo ci pensa Maia con il suo soffio. Attende che io sia seduta e magari distratta per venirmi addosso come un razzo, buttandomi per terra per giocare insieme, io sotto e lei sopra, perché lei è dominante.
Il suo impatto sul mio corpo è un soffio vigoroso, vitale che prende il suono di un ringhio giocoso.
Siamo due cucciole che giocano e si rotolano, non ci sono più confini e non c’è nemmeno tristezza perché Maia non lascia spazio al respiro affannoso di un’emozione cupa. L’affanno è per il gioco di entrambe, per gli attacchi di lei su di me e per le sue finte fughe.
Ma anche lei viene contagiata dal soffio della brezza che la rinvigorisce, la richiama a seguire il suo respiro.
Lei si adegua, segue il soffio del vento, lo sente entrare nel suo pelo che viene scomposto. Maia sembra una punk, ride con gli occhi, si ferma con il vento che sbatte sul suo muso affilato e si mette in posizione di sfida, così per avvertirlo che lei si girerà e correrà con lui, nella stessa direzione e il suo soffio la farà arrivare per prima al traguardo.
Per lei non esiste differenza fra gli elementi della natura, gli uomini e gli animali. Può giocare con tutto e persino il sasso diventa il suo tesoro da portare a casa per custodirlo.
Il respiro della brezza increspa le acque limpide del fiume. Maia non resiste, s’immette in quel lussurioso liquido ma non si adegua al soave soffio. Lei cavalca seguendo il suo soffio interno, la sua passione, la sua incoscienza. La mia incoscienza che mi portò al largo, lontana dalla riva, seguendo il mio respiro di bambina, in mezzo al mare dove non arrivavano le grida di mio padre costringendolo a seguirmi.
Cascò in un mulinello, quel mare è traditore, ma io non lo sapevo. Sulla riva, quando finalmente mio padre mi raggiunse, sentii il suo soffio affannato, contratto, ma lui mi disse soltanto: “Sai credevo di non rivederti più, sono cascato in un mulinello” e il suo respiro piano piano si regolarizzò mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Maia ora è più giudiziosa, sa che quando entra nell’acqua io ho bisogno di essere rassicurata, perciò fra una cavalcata ed un’altra trova il modo di dirmi BAU, “ci sono”.
Così come vuole essere anche lei rassicurata se io dormo un po’ di più.
Si avvicina al mio letto, appoggia le sue zampine e le sue orecchie cercano di captare il mio respiro. Rassicurata torna alle sue cose, ma dopo poco ritorna e mi sfiora con una zampina. Le bastano poche parole “Maia fra poco mi alzo” e lei se ne va.
Poi ritorna più decisa, la sua zampetta mi graffia e lei piange finchè non mi alzo. Ha bisogno di sentire la sintonia dei nostri respiri.
Talvolta quando l’aria annuncia un temporale estivo entrambe entriamo in fibrillazione, un’euforia si impossessa di noi e ci costringe ad uscire, a correre per poi tornare grondanti e infreddolite.
Eppure entrambe in solitudine abbiamo vissuto l’abbandono in mezzo alla pioggia, ai tuoni e ai lampi e siamo rimaste segnate da questa esperienza.
Ma quando siamo insieme non abbiamo paura, i nostri respiri affannosi si adeguano per giocare. Chi dà la tonalità gioiosa sotto la pioggia? Non lo so. Non importa.
Finchè saremmo insieme il temporale sarà un impulso vitale, un connubio con la natura, un pretesto di vicinanza giocosa.
L’erba è alta, Maia si inoltra in quello che a lei può sembrare una giungla. Lì non corre, lì saltella come una cerbiatta e cerca, trova, si impegna a catturare un soffio nascosto nell’erba.
Ciò che si scorge di lei sono le sue orecchie appuntite.
Fa una buca nel prato, ogni giorno è più profonda, chissà quale soffio sente? Lei è molto curiosa e caparbia, insiste a scavare, il suo corpo è tutto dentro la buca, rimane fuori solo la sua codina riccia.
Quando esce è tutta avvolta in una nube di polvere. Anche oggi dovrò farle il bagno. E anche quello è un gioco, è lei che lo fa diventare un gioco.
Si potrebbe dire che “ha soffio da vendere” e per questo la sua presenza è vitale per tutti.

Papà diceva sempre “quanta forza ha!”
Per lui la forza era tutto, era possibilità di lavorare, di mantenere la famiglia, di dedicarsi alla sua passione per l’orto. “I fagiolini quest’anno sono speciali”-diceva con orgoglio.
“Se non piove si rovina la verdura”- è questo per lui costituiva una grande preoccupazione.
Quell’orto richiedeva tanto fiato, ma per lui non era sprecato.
Ricordo il giorno in cui i medici dell’ospedale mi dissero: “Suo padre vivrà due, tre mesi al massimo”. Mi ero accorta che il suo soffio aveva perso quell’ intensità di sfida al tempo.
Cercai di preparare la famiglia. Tutti negarono. “E’ solo un piccolo disturbo, non vede l’ora di tornare ad occuparsi del suo orto”!
Eppure qualcosa scattò in mia madre perché mentre dormiva, sorvegliava il respiro di mio padre.
Poi la telefonata nel cuore della notte:“Mi sono accorta da un soffio diverso, è stato un attimo”.
Maia andava alla sua bara e si alzava con le zampine per cogliere un soffio. Niente. Tornava e nuovamente cercava di percepire un alito. Alla fine si rassegnò.
Io no!
Quando si avvicinò l’anniversario della sua morte sentii la rabbia per quella scelta. Per non aver voluto un luogo fisso, una tomba, un’urna dove poter parlargli, raccontargli le cose che non ho mai detto, belle e brutte.
Ma quella mattina mi si presentò nitida l’immagine di mio fratello che rovesciava le sue ceneri in quella lingua sottile di acqua. Sopra l’acqua una nube grigia si confondeva con l’aria.
Mi alzai presto e mi avviai verso il ruscello vicino a casa. C’era ancora una nebbia trasparente che si alzava sopra l’acqua.
Sciolsi Maia e mentre lei correva nell’acqua, io affondavo nella sottile tela grigia.
Tornammo sfinite, lei con la lingua penzoloni e il respiro affannato, io intrisa di sudore e di polvere d’argento.
Es un soplo la vida…….un soffio impregnato da tante vite…….un soffio di emozioni senza tempo e senza luogo.

 

El ceibo e il jacarandà

Fra il popolo guaranì viveva un’indiana piccola e piuttosto bruttina dal nome Anahì.
Nei pomeriggi estivi la sua voce dolce e cristallina riempiva d’incanto l’intera tribù.
Sentendo quella voce melodiosa, gli spagnoli si avvicinarono con cautela e con i loro fucili uccisero molti indios e ne catturarono altri, fra i quali anche Anahì.
Gli spagnoli stavano conquistando palmo a palmo le terre rigogliose dei popoli che vivevano sulla riva dei fiumi Uruguay e Paranà.
Dopo avere ucciso gli abitanti di queste terre, si insediavano con i loro prigionieri e li utilizzavano come schiavi per la coltivazione e la costruzione di città fortificate.
Anahì lavorava duramente il giorno e piangeva la notte.
Anche il suo pianto era melodioso nonostante la grande tristezza; sembrava il canto di una sorgente.
Mentre la luna si rispecchiava nel fiume, venne attratta da quel pianto e, avvolta dalle nuvole per non farsi riconoscere, scese a terra dove il vortice amaro di un sentimento umano la fece tremare.
Con cautela si avvicinò a Anahì e, vedendola prigioniera, l’avvolse con il suo manto notturno e la portò con sé lungo la riva opposta del fiume.
La notte seguente gli spagnoli si accorsero dell’assenza di Anahì: mancava il suo pianto.
Avrebbero fatto a meno delle sue braccia ma, notte dopo notte, sentirono un vuoto sempre più profondo che li privò del sonno.
Si resero conto che, se non dormivano, la loro forza si sarebbe indebolita e forse non sarebbero stati capaci di difendere le terre conquistate.
Decisero di partire con una barca ed esplorare le rive del fiume in cerca di Anahì.
In quei giorni di libertà Anahì, non cantò nè pianse, temeva di essere udita dai suoi carcerieri.
Passò di lì un uomo strano: i suoi capelli erano neri e lunghi, i lineamenti marcati e il corpo forte come tutti i charrùas, ma lo sguardo era azzurro.
L’uomo, vedendo Anahì le si avvicinò, ma lei corse lungo il fiume; era spaventata.
I passi di Tabarè –così si chiamava il giovane- erano agili come quelli di un leopardo e in poco tempo le fu accanto, mentre con gesti amichevoli cercava di rassicurarla.
Passò una settimana e Tabarè insegnò ad Anahì alcune canzoni spagnole apprese da sua madre, canzoni di culla, tristi e amorevoli.
Anahì iniziò a cantarle, sempre più spesso e più forte, ormai si sentiva sicura con Tabarè ed entrambi si sentirono attratti l’uno verso l’altra, tanto da provare una sensazione sconosciuta.
Gli spagnoli, che non avevano desistito nella cattura di Anahì, sentendo la loro voce, si inoltrarono nella la boscaglia e con urla spaventose cercarono di fare prigionieri entrambi i giovani.
Tabarè tirò fuori rapidamente il coltello e lo piantò in mezzo al petto di un uomo, mentre Anahì corse a prendere la lancia e la infilò nella fronte di un altro.
Ma il nemico era numeroso e ben armato, presto Anahì e Tabarè furono immobilizzati.
Questa volta la rabbia del nemico non consentì un futuro da prigionieri alla coppia, decisero di ucciderli.
La notte gli spagnoli accesero due roghi: uno per Anahì e un altro per Tabarè.
Dopo qualche giorno dalle ceneri del rogo di Anahì nacque un albero mai visto, frondoso, con fiori rossi e carnosi che nella stagione autunnale si aprono propagando i semi nelle terre fertili del Sudamerica. Il ceibo diventò il simbolo dei paesi del Cono Sud.
Dalle ceneri del rogo di Tabarè nacque l’albero possente del jacarandà. Nella stagione primaverile si veste di fiori azzurri e profumati.
I rami di entrambi gli alberi, con la complicità della brezza, si toccano e le foglie si intersecano come ali di uccelli.
Lievemente volteggia nell’aria un petalo azzurro come una lacrima che si inabissa nelle acque profonde del fiume.

Anna Milazzo febbraio 2015




 

 

Esistenza

Esitante l’estate si congeda,
veli di brina all’alba
sbiadite foglie accartocciate
sotto il fuoco rovente
dei giorni passati.
Brucia il mio corpo
scintillano le mie cellule
di ricordi tormentati.
Esistenze molteplici
liberate da misere prigioni
avvolti dai loro sogni.
E tu Bebe
seminando rivolte, passioni
rivoluzioni “belle”
come il viso di una Madonna
come un pugno di versi
allacciati nel cuore di un bambino.


HOY



Hoy canto al amanecer

A la aurora rosada

A mi ciudad querida

A mis dias de sol

Aquellos de lluvia.



No hay espacio hoy

para el temor.





Mi fortaleza es la esperanza

Tajiente como una navaja

Quiebra la desiluciòn.



Se abren mis manos

El rocìo las besan

Busco tu cuerpo

Mis manos extrenan

Una dulce caricia.

 
Tempi (a mia madre)


Avvolta in un manto intessuto
dal groviglio dei tempi,
dai fili raccolti in vari continenti,
cerchi il tuo nido nella geografia del pianeta.
.

Ogni giorno di più
le parole stentano ad affiorare alle tue labbra e
i pensieri si sparpagliano
come uccelli spaventati.

Vivi nella regione sacra
dove i giorni scivolano nel sonno e
nel sogno impastato di oblio.

Stendi ai nostri piedi
tappeti di ricordi confusi,
di sogni gremiti di presenze.

Camminiamo su di essi,
con sobria leggerezza,
per accompagnarti
là dove
non ci saranno tracce
della nostra assenza.


Quasi niente

Lo schiudersi di un regno mi fa tremare
Prati interi di margherite
Di botton d’oro
Luoghi, odori, panorami che si scoprono
Distesa sulla terra
Attorno a me le montagne
Frontiere invulnerabili.
Si confondono i suoni
Trilli di uccelli, ronzii d’insetto
Scivola il sole dietro gli alberi
Vibra la prima stella nel firmamento

I suoni si accordano
Si fa musica
La musica è danza
Danzano le foglie
Le onde verdi mi cullano
La luna veglia il canto dei grilli
La danza si fa canto
L’’universo canta il suo canto
Non temo l’infinito
Sono terra sbriciolata sulla terra
Filo d’erba nel prato
Margherita fra i fiori
Un sospiro appena
Nell’istante del trionfo della vita.

Onda 
I tuoi occhi, velluto della notte 
 Ardenti e luminosi 
 Accarezzano la vita 
Quando cumulo di nuvole
 Rabbuiano i tuo sguardo 
Temo la tempesta

 Fantasmi attraversano
 Il mio cammino
 Ristagno di ricordi

 Imponenti ombre
 Marcano il passo 
Delle mie mancanze
 Non fu generosa 
 La mia cura 
Troppo assidua, 
troppo rapace 
Pianta fiorita in vaso stretto 
Affoga il germoglio che 
 Lotta per crescere 
Urgenza di lacerazione
 Ferita sanguinante 
 Per me che non sono 
E non finirò di essere 

 E tu vivi, cresci, fluisci
 Voli come gli uccelli 
 Sorrido al tuo volo 
Avvolta nel mio nido vuoto 
ascolto il quieto respiro
 il sonno profondo della terra
 il mio silenzio 
Non c’è fine nel mio cammino
 Anelo il sorriso del mare
 L’onda marina

 Il fluttuare del corpo
 Sospeso nel tempo
 Nell’infinito orizzonte 

                                   Presentazione del libro Anahi del mare

lunes, 24 de agosto de 2015

MATTIA SIGNORINI - VENETO - ITALIA





Mattia Signorini è nato nel 1980 a Rovigo. Ha pubblicato  Lontano da ogni cosa (2007), La sinfonia del tempo breve (2009; Premio Tropea 2010), Ora (2013; finalista Premio Stresa) e Le fragili attese (2015).È tradotto in Europa, Sudamerica e Israele. Ha fondato la scuola di scrittura creativa e narrazione Palomar ed è direttore artistico del Festival Rovigoracconta.



LIBRI:


Le fragili attese

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Questa è la storia della Pensione Palomar, una vecchio stabile a due piani nel quartiere periferico di una grande città. Osservandola dalla strada, incastrata tra due palazzi, sembra appartenere a un tempo che non è più.
È la storia di Italo, il proprietario, che a quasi ottant’anni ha deciso di chiudere per sempre. Osserva passare gli ultimi giorni seduto dietro al bancone, mentre rilegge vecchie lettere d’amore scritte da una ragazza negli anni Cinquanta.
È anche la storia dei suoi ultimi ospiti. Guido, un professore d’inglese che deve insegnare a parlare a una bambina muta; Lucio Ormea, un uomo alla ricerca del padre che non vede da quando era piccolo; il generale in pensione Adolfo Trento, convinto che la soluzione di ogni pace stia nella guerra; Ingrid, un’arpista con il polso spezzato che lavora come cassiera al supermercato e di notte si accompagna a uomini conosciuti per caso; e infine la domestica Emma, che ha fatto della Pensione Palomar la sua casa da ormai troppo tempo.
Sono tutte persone ferme ai margini di un mondo che corre troppo veloce, in attesa che arrivi qualcosa, forse un treno che li porti via, verso una direzione qualsiasi, prima che sia troppo tardi.


Ora

Ora
La storia di un ritorno a casa e dell’incontro tra due persone molto diverse: un ragazzo che ha perso la voglia di andare avanti e un’anziana signora che ha rifiutato la vita molti anni fa. Il racconto di un viaggio dalla perdita alla gioia.
“Ora è un romanzo sulle parole non dette. Su quello che vorremmo dire alle persone a cui teniamo, e poi per qualche motivo rinunciamo a farlo. L’assenza di quelle parole, al principio, ha il peso di una palla di neve: crediamo di potercene disfare quando vogliamo. Ma il piano inclinato dei mesi e degli anni, per effetto di un granitico scivolamento, fa trasformare la palla in una valanga, e quando finalmente troviamo la forza di levarla via tutta, quella neve che ormai riempie una valle, ci rendiamo conto che se n’è accumulata troppa” M.S.


La sinfonia del tempo breve

sinfoniamarsilio
Green Talbot nasce nel 1919, in tempo di pace – una pace acerba, troppo giovane per dare frutti, una pace che sarà una parentesi di attonito silenzio fra due conflitti mondiali. Non sa cosa l’aspetta in quel secolo nuovo e fragoroso: sa solo che per trovarlo deve lasciare la sua casa in un paesino sperduto nel sud dell’Inghilterra, dove il tempo ristagna pigro, e gettarsi nel mondo, tra la gente. Green Talbot corre verso quel mondo con curiosità e attenzione. Attraversa l’oceano rischiando la vita ma guadagnandosi amici insperati, e si ritroverà nei luoghi dove la storia ha cambiato il suo corso: l’America della Grande Depressione, l’Europa del dopoguerra, l’Italia del boom economico. E scopre in sé una possibilità unica: attraversare tempo e spazio, percorrere l’intero Novecento e i suoi furori, i suoi personaggi estremi e indimenticabili, le sue città distrutte, depresse o ricostruite, da ogni cosa raccogliendo vita e senso.


Lontano da ogni cosa

lontan_da_ogni_cosa
Vita quotidiana in un appartamento di studenti. Anni universitari. Alberto, Chiara, Stefano. I tre vertici di un triangolo fatto di energia, di amicizia, di amore. Dagli anni dell’università agli anni della vita, dalle speranze alle disillusioni. Il triangolo si spezza e si rinsalda sempre, l’energia s’interrompe e poi ritorna a scorrere… Tra la Padova universitaria, la Milano del glamour e la Roma del cinema, un romanzo che parla di gioventù e di rabbia, di tenerezza e di indifferenza; della ricerca di un’identità e della scoperta, alla fine, di essere sempre lontano da ogni cosa.